Pizza con lo chef, si o no?

“Basta con il divismo nella ristorazione. Non salviamo vite, facciamo solo da mangiare”. Questa frase, mutuata da Gualtiero Marchesi, riassume perfettamente la risposta che potrebbe avere il titolo di questo articolo.

Spesso avrete sentito dire che “non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”; questo semplice detto italiano in realtà racchiude in se’ una grande verità e deve essere interpretato alla luce di migliaia di anni di mutevoli canoni di bellezza ed interpretazioni artistiche, estetiche e di gusto.

Tuttavia non si può negare che dietro uno chef ci siano anni di duro lavoro, di tecnica sopraffina, di fatica e di studi che i più non hanno fatto.

L’arte è scienza, tecnica e duro lavoro.  Puoi cucinare quanto vuoi ma i tuoi piatti non si potranno mai paragonare a quel di uno chef.

Quindi dove sta la verità?

Lasciare campo libero agli chef -guru o seguire i propri gusti anche a costo di impapocchiare  piatti improbabili?

Come al solito la verità sta in mezzo.

Tutti possono produrre “idee”, anche ottime idee, anche in cucina. La capacità di metterle in pratica è però cosa da pochi, da persone che hanno dedicato una vita intera nella ricerca della tecnica.

“Libera lo chef che è in te” è una bellissima espressione, ma se vai ai fornelli senza le basi, non riuscirai a liberare nessuno chef. E magari ti finirà a scoprire come non ci sia nessun artista in te, puoi liberare il tuo potenziale, si, ma artisti si diventa. Dopo anni di studio, fatiche, errori, tentativi e, si, anche anche la capacità di sperimentare e provare il nuovo.

Se vuoi produrre belle opere, o bei piatti, arte o ispirarti all’arte, devi conoscere ciò che fanno gli addetti ai lavori. Capire, imparare, studiare, applicare. Ed è un duro lavoro il solo scoprirlo, figuriamoci l’applicazione…

Ecco perché la serata alla Corte dei medici con lo chef Marco Pallidoro è stata significativa, innanzitutto perché lo chef ha lavorato insieme al pizzaiolo, unendo così la tecnica del primo all’esperienza sui lievitati del secondo.

Ma sopratutto perché è stata una serata di condivisione. Non si è parlato solo di ingredienti, ma di abbinamenti, di cotture, di presentazione. Lo chef raccontava, gli astanti chiedevano.

Chi è andato per ascoltare, oltre che per degustare, ha potuto quindi arricchirsi di competenze nuove; il divismo dello chef è stato completamente assente. E lo chef, a sua volta, così come tutti i professionisti del settore,  si è reso conto che l’unico, vero modello della ristorazione resta la trattoria –come disse Cipriani– e che la vera forza sta nell’accoglienza.

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