La PIZZA è tradizione o modernità?

Dilemma eterno ma,  lo diciamo subito, tra le due, scegliamo la seconda.

Quando nacque, la pizza era un piatto modernissimo, una novità assoluta. L’innovazione in particolare fu l’uso del pomodoro come condimento. Ricordiamo infatti che per diversi anni dopo che il pomodoro fu portato in Europa dalle Americhe nel XVI secolo, molti europei credevano che fosse velenoso (come varie altre piante del genere Solanum a cui appartiene). Un piatto quindi innovativo che guadagnò così tanta popolarità da diventare “tradizione”. L’innovazione da cui nacque venne cioè cristallizzata: in Margherita, Marinara, ecc. I grandi classici.

L’UNESCO ci ha messo del suo, premiando la pizza napoletana come patrimonio dell’umanità, dando il via a quella che i Media hanno dipinto come una grande conquista nazional-popolare, una vittoria per il settore tutto e soprattutto per il cliente finale.

Ma è proprio così?

Vediamo cosa è stata premiata: “per Unesco le competenze legate alla produzione della pizza, che include gesti, canzoni (canzoni, capite?), espressioni visuali, gergo locale (il bello del dialetto insomma), capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi (W l’esibizionismo) e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale”.

Passa cioè il messaggio che la pizza napoletana (e con lei la categoria «pizza» nella sua interezza) è vernacolo.

Dialetto, canzonette, piatto povero e tradizione. Non ricerca. Non modernità.

È la direzione esattamente contraria a quella a cui lavoriamo noi e le pizzerie di più recente concezione.

Infatti, sono ormai anni che è in atto una vera e propria rivoluzione nel mondo della pizza.

Si stanno approfondendo le tecniche di impasto, la cottura, le farciture. Termini sconosciuti fino a pochi lustri fa come «maturazione» stanno diventando mainstream e ormai la gente sta iniziando a capire che non è normale bere ettolitri di acqua dopo aver mangiato una pizza. Questo grazie alla ricerca, non a canzonette.

Una ricerca che sta diventando possibile e di dominio pubblico NON grazie ad una riproposizione dei dettami del passato MA ad uno studio consistente e mirato nei riguardi della SCIENZA degli impasti e della panificazione.

Dovrebbe passare il messaggio che il prodotto pizza è il risultato di studio, competenza e formazione. Non di ripetizione del sempre uguale o ancor peggio, della tradizione come feticcio e blocco mentale, come freno allo sviluppo e al nuovo.

Se passa questo messaggio non si difendono tutti gli operatori che passano giorni e giorni a studiare, testare, sbagliare, riprovare e a tirare testate all’impastatrice perché non gli riesce l’alveolo perfetto, perché la maturazione non arriva bene al secondo o terzo giorno, e si incentiva invece la becera ignoranza di chi si crede pizzaiolo solo perché la sua famiglia da tre generazioni fa la pizza e la fa sempre allo stesso modo.

La pizza è prima ricerca, poi eventualmente arte.

Ringraziamo l’UNESCO, ringraziamo i Media, ringraziamo tutti, ma andiamo avanti con la sperimentazione.

 Il clamore suscitato dalla nostra pizza “Antonius Musa”, con caviale e oro 23kt commestibile, la più cara d’Italia, ispirata dal celebre risotto di Gualtiero Marchesi con zafferano e foglia d’oro (non a caso l’unico e forse solo grande maestro che ha rinnovato la cucina italiana tirandola fuori dal passatismo in cui era impantanata), ci ha realmente sorpreso. La critica principale è stata che era un piatto irrispettoso della tradizione.

La tradizione come freno inibitore. Una scatola mentale. Ecco, immaginate di essere chiusi all’interno di una scatola: da questo punto di vista avete un’unica visione del mondo in cui vi trovate e potete conoscere solo ciò che la scatola contiene.

Una cosa che fa comodo a chi vi vuole propinare sempre la stessa minestra. L’attitudine di pensare “fuori dalla scatola” si può però apprendere con il giusto esercizio e approccio mentale, attraverso una sana curiosità e un pizzico di “follia”.

È quello che vogliamo fare qui, in questo blog. Per provarne gli esiti commestibili, a cominciare proprio dalla “Antonius Musa”, puoi andare qui:

www.cortemedici.com

Per non avere limiti mentali nella cultura del cibo, bisogna spingersi oltre la routine. Grande rispetto per i traguardi del passato, per carità, ma pensare che non abbiano più futuro è un grandissimo errore. La sfida, invece, è una sola: continuare a fare, a puntare sulla ricerca, sugli abbinamenti non scontati e su progetti originali e innovativi, per creare quel vantaggio competitivo necessario per essere i primi nel mondo.

La cucina italiana ha ancora grandi potenzialità inespresse. Potenzialità bloccate dalla dicotomia tradizione-modernità.

Noi abbracciamo la seconda. In piccolo, con modestia, con un lavoro sul campo che puoi scoprire vedendone il dietro le quinte.

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